Pierfranco Bruni. Voci di scrittori

Pierfranco Bruni è scrittore, poeta, filosofo, critico e teorico della letteratura. Ha al suo attivo numerosi libri, articoli, saggi e studi. Tiene regolarmente conferenze e lectio presso università e istituzioni culturali, in Italia e all’estero. Per la Ferrari Editore dirige la collana di letteratura filosofica PAROLE PENSANTI.

8 DOMANDE //L’INTERVISTA

Il tuo primo ricordo legato a un libro? Frequentavo le scuole elementari. Mio padre andava spesso a Cosenza dal paese, dove abitavamo e tutt’ora ho casa e in alcuni periodi dell’anno mi chiudo per lavorare nel completo silenzio e soprattutto in completa solitudine. Tornato, mi porge un pacchetto ben legato con un nastrino, ricordo ancora il colore, azzurro. Conteneva Le avventure di Tarzan e Robinson Crusoe. Libri illustrati in bianco e nero. Ancora sono gelosamente custoditi. Tarzan passò quasi inosservato allora, ma mi fece capire il senso dell’avventura negli anni del Liceo, ancora lo rileggo. Mentre Robinson Crusoe segnò un percorso decisivo che è rimasto vitale in molti miei libri e anche nel mio ricercare, successivamente, il senso antropologico del selvaggio. Appunti indelebili nella mia vita, tra la scrittura e il bisogno di conoscenza che ancora m’intreccia.

Qualche domanda sulla tua officina creativa: hai uno spazio tutto tuo dove preferisci scrivere? Orari, abitudini, rituali? Carta o computer? Non ho alcuna officina creativa. Forse mai avuta. Scrivo dove mi trovo. Come impeto e assalto. Non ho mai avuto orari. Prevalentemente ora scrivo sul telefonino. Strano? Ho sempre scritto direttamente, nel corso degli anni e sin dall’inizio, sulla macchina da scrivere o sul computer. Ora uso due telefonini. Uno soltanto per scrivere. Poi riporto e invio sul computer o direttamente all’editore, come è accaduto negli ultimi libri pubblicati da Ferrari. Dipende comunque dal tipo di libro. Ma sempre sul telefonino prendo appunti e poi definisco. Quando si tratta di “saggistica”, tra virgolette perché per me è difficile parlare di generi letterari e non m’interessa definirli, uso annotare frasi, riflessioni, disegnini sui libri che sto leggendo o consultando in quel momento. Prima o poi mi sono detto che dovrò decifrare le annotazioni o gli appunti sottolineati su questi libri. Certo ho cercato di usare anche quaderni, in passato lo facevo, ma ora in me sono mutati alcuni metodi e faccio riferimento a ciò che ho detto prima.

La tua esigenza di praticare e indagare dimensioni della scrittura diverse nasce, forse, dal desiderio di mantenere una sorta di libertà dell’immaginazione al di là delle regole dettate dalle caratteristiche di ogni forma espressiva? La libertà nell’immaginare e dell’immaginazione è fondamentale. Non vado alla ricerca di forme espressive. Forse nascono da sole. Il fatto è che non mi sono mai posto questo problema, se deve essere tale. È tutto spontaneo, perché penso che il primo impatto con la scrittura sia provvisorio. Scrivo in piena libertà espressiva senza farmi condizionare da regole. È naturale che è il pensiero a definire involontariamente delle regole.

Che cosa rappresenta per te la scrittura letteraria? Controllo della coscienza che analizza, indaga, filtra, cambia e riordina, così come l’ha inteso Svevo, o flusso di coscienza (stream of consciousness) come lo ha inteso Joyce? È stata sempre un flusso. Di coscienza? O d’incoscienza? La scrittura per me non è dettata dalla ragione ma dal mistero. Anche quando s’individua un tema o un argomento è il mistero che fa tutto. Certamente dopo aver riflettuto, usato il pensiero, consolidato le conoscenze, approfondito un percorso. Ma non si mai cosa scriverò. La scrittura ha la logica del dopo e non del prima.

Stephen Hawking, pochi anni fa, in una conferenza ha dichiarato che la filosofia è morta. Sei d’accordo? Non sono d’accordo. La filosofia non muore e abita il viaggio dei nostri viaggi. I filosofi esistono o non esistono. La filosofia vive anche nella poesia, in un racconto, nelle pagine di un romanzo. Questo significa che la filosofia prescinde da ciò che è considerato filosofo.

I libri possono aiutarci davvero a vivere meglio? I libri non aiutano a vivere meglio. Ma questo discorso è viziato perché la risposta è data da uno scrittore il cui libro è la vita nella sua dimensione onirica, malinconica, tragica, ironica. Per ciò che mi riguarda, i libri aiutano a pensare. Ma non so se pensare è vivere meglio. Per me pensare è vivere. Vivere è pensare. Non avrebbe senso altrimenti esistere.

Un libro che ti piace molto e avresti voluto scrivere tu? Giusta domanda. I due aspetti stanno insieme. Non ho dubbi. Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. Li il mio mondo si consolida tra grecità, tradizione e tempo del mito. Ovvero è nella nascita del mito che il sacro e il mistero si fanno voce. Poi in Pavese abita il mio Omero e quindi soprattutto l’ulissismo. Il libro che avrei voluto scrivere e che tento di scrivere o riscrivere.

Tre soli aggettivi per definire La panacea letale, uno dei tuoi ultimi libri. È un testo che mi ha dato molto. Al quale ho dato tanto. E mi vive dentro. Lo devo a Francesca Londino. È lei che mi scavato le orme e i tratturi del pensiero. Tre aggettivi? Scavato. Tragico. Profetico.